Cento anni, cento anni fa. Cosa mai sarà successo cento anni fa? Si sa che a Villa Giusti, a Padova l’Impero Austro-ungarico, già assai sbriciolato, firmò l’armistizio con Italia. In realtà di pace ce ne fu ben poca. Una breve tregua e poi di nuovo il linguaggio dei muscoli, delle armi ritornò a comandare, ad obbedire.
E così l’essere umano calcola gli anni. Dall’evento all’evento. Dal primo sparo all’ultimo. Dall’inizio alla fine.
Quanti calendari ci sono nel mondo? E quanti altri modi di calcolare il passaggio del tempo? Tra noi, esseri umani, tanti. E spesso è solo una convenzione per semplificare la comprensione. Nessuno di noi è convinto che l’anno nuovo può cominciare proprio a mezzanotte dell’ultimo giorno del dodicesimo mese. Ma tanti aspettano quel momento per farsi gli auguri e baciarsi con la persona accanto. Prima dell’invenzione dell’orologio chi dava il segnale per questo? E così si rischia di iniziare un qualcosa di nuovo senza mai essere sicuri di aver finito qualcosa di precedente. Ma va bene così. Senza queste semplificazioni non si potrebbe insegnare la storia nelle scuole. La storia non viva e non vera. La storia scolpita nella pietra come data su un arco di trionfo, come ritratto del vincitore, come monumento al vinto, come simbolo religioso o culturale del potere in una certa area geografica.
Poi improvvisamente tutto cambia. Crolla l’incrollabile e comincia un’altra era. Ma prima si devono distruggere i pilastri dei tempi passati. I ritratti, i simboli, i monumenti. E si cambiano i calendari. Insomma la Grande rivoluzione di Ottobre fu a Novembre. Per sei mesi le ore solari diventano legali. Nel nostro calcolo del tempo possiamo pure fermare la clessidra, se ci fa comodo. Basta convincere tutti gli altri esseri umani ad essere d’accordo.
Ma per tutti gli esseri viventi è così? Sono certo di no, anche se non ho mai visto calendari appesi alle pareti delle tane, dei nidi, nelle grotte marine. Loro osservano le fasi lunari e le fasi solari. Contano gli anni con i gusci di tartaruga e con le corna dei cervi. Non fanno i monumenti, non ne hanno bisogno. Anzi, usano i nostri monumenti per i loro bisogni. E poi, invece delle rivoluzioni vanno in letargo. Altro che fermare la clessidra. Fermano il tempo. Oppure, volando da un continente all’altro, seguono il sole attraversando monti e mari e fermando le stagioni. Risalgono i fiumi con gran fatica, e sulla riva ad aspettarli c’è l’orso, sicuro che non tarderanno.
Altri esseri viventi fanno altro ancora. Fanno l’opposto. Il tempo proprio non lo contano. Sono semplicemente eterni. Esistono da prima del Verbo, da prima del Caos, da prima del Prima, da prima del Tempo. Il loro calendario è biodegradabile. Sì, è vivo e capace di passare da una qualità ad altra senza letarghi e senza migrazioni. Non hanno bisogno neppure di attingere alle risorse dell’evoluzione. Stanno qui, capaci di esistere nel freddo, nel caldo, nel buio, sotto la luce, immersi nell’acqua oppure all’asciutto.
Non nascono e non muoiono e non sono buoni né cattivi. Riescono a creare le grandi opere che durano pochi attimi, ma la loro memoria rimane all’infinito. Qualche esempio? Il bicchiere del vino bevuto quella sera lì. Il pane cotto dalla nonna. Il formaggio mangiato sui Monti Tatra. Il pesce di tre anni assaggiato ad Otsu in Giappone. Il Kimchi davvero piccante sulla via Cassia. Il Kefir al ginger che rende frizzante i momenti normali. La minestra di crauti che riesce far ritornare la mia mamma dall’al-di-là. Le bottiglie di Kombucha portatrici sane di buon umore. Sì, sono i batteri, i fermenti, i probiotici che hanno sostituito il tempo misurato con l’infinito. E ce ne regalano un po’ ogni volta che ci fermiamo e ci permettiamo di assaggiare una loro gran opera, senza fretta, senza clessidra, senza tempo.
T.