Vi domandate se i cibi fermentati abbiano una casa tutta per loro?
Sì, ce l’hanno! Si chiama “Kamoshika Cafe” e si trova in una tranquilla periferia di Kyoto. L’ha creata Megumi Seki, che abbiamo avuto il piacere di conoscere durante il nostro soggiorno in Giappone, scoprendo moltissima sintonia fra il suo progetto Kamoshika e il progetto Kefir.
Per questo le abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia. È stata una bellissima conversazione.
Megumi Seki è nata in una piccola cittadina a nord di Kyoto e fin da bambina ha coltivato il desiderio di capire cosa è esattamente la salute e come fare per mantenerla.
Megumi: “Sì, è così. Sono nata in una famiglia di farmacisti. Ho conosciuto fin da piccola il mondo della malattia, dei dottori, degli ospedali. Forse è per questo che ho sviluppato molto presto un’attenzione particolare per tutto ciò che può aiutarci a stare in salute.”
Quando hai cominciato ad occuparti di cucina?
Megumi: “Non ho una formazione culinaria accademica. All’università ho studiato Economia. Poi ho trascorso un anno in Svezia, dove sono venuta a contatto con persone di tanti paesi e culture diverse. È stato un periodo molto importante per me. Tornata a casa sono andata a lavorare in una grande azienda; presto però sono passata ad un’altra ditta che si occupava di servizi agli ospedali. Speravo che lì avrei potuto essere utile alle persone malate. Ma mi sbagliavo. Ho capito che la mentalità medica convenzionale non mi interessava. Non mi piaceva pensare alla salute come ad un affare da delegare a professionisti, né considerare la prevenzione solo come una serie di esami che poi sfociano inevitabilmente in medicine da prendere per tutta la vita.”
Allora la cucina quando è arrivata?
Megumi: “È arrivata grazie al mio primo figlio. Quando è nato ho deciso che non avrei più lasciato l’alimentazione della mia famiglia nelle mani di altre persone. Avevo capito che l’alimentazione sta al cuore della salute: non solamente ci aiuta a conservarla, ma certi cibi possono aiutarci a recuperarla quando ci ammaliamo. La cucina è una vera e propria farmacia e con il cibo ognuno di noi può diventare il miglior medico di se stesso.
Poi nel 2011 c’è stato un secondo momento di svolta, o più precisamente, di presa di consapevolezza. L’11 marzo di quell’anno è il giorno dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Da quel momento fare la spesa è diventato problematico. Come sapere cosa c’è dentro quello che si compra? Come essere sicuri di non mangiare qualcosa di contaminato?
Mi sono resa conto che bisognava prendere in mano la situazione. Come? Producendo in casa quanto più possibile, scegliendo le materie prime in maniera accurata e diretta. Infatti, più si evitano passaggi e trasformazioni prima che il cibo entri in casa, più si riducono le possibilità di mangiare qualcosa che ci farà male.”
E i cibi fermentati?
Megumi: “La cucina giapponese è ricchissima di preparazioni fermentate. Fino agli anni ’70 del secolo scorso era normale fare a casa il miso, le umeboshi, l’amasake, la salsa di soia, le verdure fermentate e tanto altro. Poi le cose sono rapidamente cambiate e adesso la maggior parte delle persone compra tutto al supermercato.
Dal momento in cui ho deciso di riprendere nelle mie mani la cucina è stato naturale includere anche tutte queste preparazioni. Inoltre facendo delle ricerche ho scoperto che i cibi fermentati, in particolare il miso, aiutano il corpo a liberarsi dalle sostanze radioattive.”
Come sei passata dalla cucina di casa al progetto Kamoshika?
Megumi: Nel frattempo ci eravamo trasferiti da Tokyo a Kyoto. Ho trascorso sei mesi nella casa dei miei genitori: è stato un periodo di intensa riflessione dalla quale è nata la decisione di dare alle mie “attività fermentanti” un luogo fisico aperto al pubblico. Sì, avrei aperto un ristorante di soli cibi fermentati. In questo modo avrei potuto incontrare e parlare con le persone più facilmente. Volevo continuare a produrre ma anche a divulgare la mia visione della cucina e della vita.”
Megumi riassume questa sua visione in una frase che non è facile da tradurre in italiano. Più o meno vuol dire che solo da ciò che è vivo può venire qualcosa di vitale, che ci fa stare bene. L’abbiamo resa con una formula di tre parole: “La vita dalla vita”.
Ma il progetto Kamoshika non è solo il ristorante. C’è anche un negozio.
Megumi: “È vero. Mi sono presto resa conto che preparare gli alimenti fermentati e offrirli a chi viene al ristorante è sicuramente un passo avanti per riaccendere l’interesse e il gusto per la fermentazione casalinga. Tuttavia rimane una relazione troppo unidirezionale e mantiene i clienti in una posizione passiva. Alla fine noi cuciniamo e i clienti mangiano, senza tante possibilità di ulteriore coinvolgimento. Sono convinta che per trarre i maggiori benefici dagli alimenti fermentati sia invece necessaria una partecipazione attiva.
In altre parole, i cibi fermentati possono sicuramente sostenere la nostra salute fisica, ma per stare veramente bene è necessario molto di più. Occorre produrre personalmente i cibi fermentati, prendere parte, conoscere e lavorare con i batteri, diventare più sensibili ai ritmi della natura.
Così ho deciso di aprire il negozio, in cui si vendono i materiali per le fermentazioni domestiche, e contemporaneamente di offrire lezioni e seminari per le aziende e i loro dipendenti. In questo modo spero di raggiungere le persone che lavorano e sono convinte di non avere assolutamente tempo per dedicarsi alla fermentazione.”
Bello, ma come fai a convincerle?
Megumi: “Dico loro che è esattamente vero il contrario! Gli alimenti fermentati sono perfetti per chi ha poco tempo. Basta infatti attivare il processo, al resto ci pensano i microrganismi!”
Queste lezioni hanno successo. Ne parlano anche su importanti giornali economici. Ma Megumi non si siede certo sugli allori. Da pochi mesi è infatti partito un nuovo progetto. È il “Kit per la fermentazione”.
Megumi: “Si tratta di scatole in cui c’è tutto quello che serve per portare a termine un particolare progetto di fermentazione. Per facilitare l’esecuzione e ridurre i rischi di insuccesso, io e le mie collaboratrici siamo sempre a disposizione per rispondere entro poche ore a qualsiasi dubbio e risolvere eventuali problemi.”
Le spiegazioni scritte che accompagnano i kit sono davvero ben fatte: allegre e molto dettagliate. Se a queste indicazioni si aggiungono l’efficienza e la cortesia che i giapponesi mettono in ogni cosa che fanno, siamo convinti che Megumi possa garantire un tasso di insuccesso pari a zero.
Grazie, Megumi, per il progetto Kamoshika. I batteri hanno trovato un’alleata formidabile per andare con fiducia alla riconquista delle cucine giapponesi!
Il sito web di Kamoshika Cafe è: http://kamoshika.kyoto.jp. Il ristorante è aperto tutti i giorni, dalle 11.30 alle 17.00. Non perdetevelo se andate a Kyoto. Ovviamente il menu è tutto rigorosamente fermentato.
A.
P.S. La parola “Kamoshika” significa “antilope”, animale simpatico. Ma dentro questa parola ce n’è dentro un’altra: è “kamosu” che significa “fermentare”. Insomma, un nome tutt’altro che scelto a caso.