15 Agosto 2017
“Ma siete sicuri? E da quando?” … “Sì, siamo sicuri. Da tanto tempo, cioè praticamente dall’inizio. È il contrario di come pensi: prima erano preparazioni fermentate poi no.”
Lo sguardo rimane perplesso e non si può dargli torto.
È una storia che si ripete spesso. Da quando tanti prodotti fermentati sono stati rimpiazzati dalle loro copie non fermentate, la memoria degli originali si è persa e le ricette abbandonate (quasi) da tutti.
Fra questi prodotti c’è il ketchup, la salsa a base di pomodoro che probabilmente anche in Italia ha superato in consumi e usi perfino la tanto amata pummarola. La qual cosa non è di per sé negativa, ma tutt'altra cosa sarebbe se si trattasse di ketchup vivo, cioè fermentato.
Dentro i contenitori di uno qualsiasi dei ketchup commerciali non si può certo dire che la vita abbondi: i fermenti vivi non ci sono (né ci sono mai stati); al contrario ingredienti come coloranti e conservanti assai poco naturali non mancano mai.
L’acidità che deriva dalla fermentazione viene imitata con aggiunta di aceto (di incerta qualità). Come se non bastasse, nella maggioranza di queste versioni non fermentate, l'aspetto acido del sapore è quasi completamente messo da parte a favore della componente dolce, al punto che all’assaggio siamo in tanti a domandarci se il primo ingrediente non sia lo zucchero anziché i pomodori.
Come dunque non avere voglia di restituire al ketchup la sua natura di salsa viva e acida naturalmente?
A noi per cominciare piace sempre metterci alla ricerca delle ricette più antiche, e anche qui le sorprese non mancano. Già, al di là della fermentazione, cosa è veramente il ketchup? Da dove viene?
Sul Cambridge World History of Food leggiamo di un progenitore indonesiano: il ketjab, in cui i batteri vengono mescolati a fagioli neri cotti. Il tutto viene lasciato a fermentare per circa una settimana e poi ulteriormente lavorato con aggiunta di zucchero di canna e successiva lenta evaporazione.
Harold McGee, nel suo imprescindibile On Food and Cooking. The Science and Lore of the Kitchen, ci informa invece che la salsa viene sì dall’Indonesia, ma prenderebbe il suo nome dal kecap, un condimento a base di pesce fermentato (che McGee dice assomigliare molto al garum latino).
Le ricostruzioni sembrano non tornare, e invece lo storico Andrew Smith, in un libro interamente dedicato al ketchup (Pure Ketchup. A History of America’s National Condiment) ci rassicura: ketjab e kecap sono di fatto la stessa parola e si riferiscono ad un gruppo molto variegato di alimenti fermentati a base di legumi o pesce.
In queste tracce storiche due fatti ci sembrano interessanti. Innanzitutto l’origine asiatica, a conferma che l’Asia è una terra di grandi tradizioni nell’arte della fermentazione.
In secondo luogo appare chiaro che il pomodoro nelle ricette “originali” non c’entra nulla. È un fatto strano? Non tanto a pensarci bene. La persona che aveva assaggiato il ketjab e voleva rifarselo a casa non avrà avuto a portata di mano gli ingredienti indonesiani.
Che si fa allora in questi casi? La cosa più ovvia: tenere presente il gusto che si vuole riprodurre e cucinare/fermentare con quello che si ha a disposizione. Ed ecco nato così anche il ketchup come lo conosciamo noi. A ricordarci ancora una volta che la creatività in cucina non ha limiti e che le tradizioni nascono e si perpetuano attraverso rotture e re-invenzioni.
La nostra versione di ketchup fermentato è piuttosto speziata. È la ricetta che troverete qui di seguito. Se si vuole un gusto più tenue, basterà diminuire le dosi delle spezie.

Ricetta
Salsa Ketchup
Ingredienti per circa 250 gr di salsa
1 chilo di pomodori maturi
1 cucchiaio di siero di kefir di latte o di salamoia “attiva” (facoltativo)*
1 cucchiaino di aceto di mele
1/2 cucchiaino di senape forte
1/4 di cucchiaino di cannella in polvere
2 o 3 chiodi di garofano macinati
1/4 di cucchiaino di pimento in polvere
1 pizzico di noce moscata in polvere
1 pizzico di zenzero secco in polvere
1/2 cucchiaino di sale marino
30 grammi di miele
* La salamoia “attiva” è la salamoia dove avete fatto fermentare altre verdure: è dunque un liquido ricco di fermenti vivi. Non si tratta un ingrediente indispensabile. Il siero o la salamoia “attiva” servono solamente per accelerare l’inizio della fermentazione. A noi non è mai successo che, non usandola, una fermentazione non sia iniziata.
Procedimento
Lavate e tagliare a metà i pomodori. Metteteli in una pentola e fateli bollire per circa tre minuti. Quando si sono raffreddati, metteteli in uno strofinaccio, chiudetelo e lasciate a sgocciolare per almeno quattro ore, tenendo sospeso lo strofinaccio sopra un recipiente.
Passate la polpa che è rimasta nello strofinaccio al passaverdura. Otterrete una pasta piuttosto densa.**
Aggiungete a questa pasta tutti gli altri ingredienti e mescolate bene. Assaggiate ed eventualmente aggiustate con questa o quella spezia (ma tenete presente che la fermentazione accentuerà tutti i sapori).
Riempite i barattoli fino a 2 cm dal bordo e poi batteteli delicatamente sul piano di lavoro per eliminare le bolle d’aria.
Chiudete i barattoli e lasciate a fermentare per una settimana circa a temperatura ambiente (in condizioni ideali, la temperatura non dovrebbe superare i 25° C).
Una volta partita la fermentazione, ricordate di aprire i barattoli una volta al giorno per allentare la pressione che si forma all’interno.
Trasferite in frigo e aspettate almeno un paio di settimane prima di cominciare ad usarla.
In frigo (o in un luogo fresco, se avete la fortuna di averlo) si conserva molto a lungo, fino ad un anno (per periodi più lunghi noi non abbiamo esperienza diretta).
** Non gettate l’acqua di pomodori che si raccoglie nel recipiente: potete usarla in un minestrone o per cuocere la pasta.
Il ketchup non è certo l’unica salsa fermentata a base di pomodori.
Qui in Italia dove e come si fanno? Sandor Katz nel suo The Art of Fermentation riporta la ricetta di una “Conserva cruda di pomodoro” che il signor Sergio Carlini gli descrive per filo e per segno (a chi interessa, è a pagina 117 del libro).
Anche noi stiamo facendo ricerche per trovare ricette ancora in uso; finora però non siamo riusciti a raccogliere nessuna esperienza diretta. Fermentatori di pomodori, scriveteci!
A.
Post scriptum
Qui in Italia il pomodoro è parte dell’identità nazionale e mettere in discussione il suo uso abbondante e senza controindicazioni (perché … “fa bene, ha il licopene!”, “è rinfrescante e non ha calorie!”, ecc. ecc. …) costituisce quasi reato di lesa maestà.
In estate va certamente bene mangiarlo, ma senza esagerare, cioè senza farlo diventare la verdura unica e onnipresente. E siccome la stagionalità non è solo un concetto di moda, ma soprattutto un modo di rispettare il proprio corpo rispettando i cicli della natura, siamo convinti che sia meglio lasciar perdere i pomodori d’importazione quando qui la loro stagione è finita.
I pomodori hanno sicuramente dei pregi ma neppure loro si sottraggono al principio secondo cui la “quantità cambia la qualità”: anche la cosa più buona, senza limiti diventa cattiva.
In questo senso, il ketchup fermentato fatto in casa può essere visto come un modo equilibrato di far entrare il pomodoro nel piatto. Una piccola quantità sarà sufficiente perché il suo sapore intenso appaga e accompagna a lungo. Praticamente un condimento pieno di personalità per una moderazione facile e felice.